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San Mauro Marchesato

Per giungere a San Mauro Marchesato è necessario ascendere dolcemente e, come in ogni elevazione, si ha il tempo di pensare nonché di apprezzare le sfumature di colore, i profumi, la vastità del paesaggio. Si supera una vegetazione tipica della macchia mediterranea, contraddistinta da distese di grano, uliveti e querceti secolari, misti a boschi di eucaliptus di origine più recente. Accarezzando il gentile profilo collinare compreso tra le basse valli dei fiumi Tacina e Neto e riempiendo lo sguardo con un soleggiato panorama agreste, si giunge nel comune di San Mauro Marchesato che, ad oggi conta poco più che duemila abitanti.
All’ingresso del paese si erge il Santuario della Madonna del Soccorso, di antiche origini, probabilmente di epoca bizantina. Accedendo da un portale in pietra sormontato da motivi ornamentali, si percorre l’unica navata giungendo alla zona dell’abside che accoglie la tela della veneratissima Madonna del Soccorso. Peculiare la cupola dell’edificio, costituito da tegoline di ceramica disposte in cerchi concentrici.
Il paese è contraddistinto dalla presenza di diversi edifici sacri, tra cui la chiesa dell’Immacolata con l’imponente torre campanaria, nonché alcuni palazzi nobiliari. Da citare anche l’edificio sito in piazza del Popolo, già Casa comunale e precedentemente Chiesa del Purgatorio.
Dopo aver passeggiato per i caratteristici vicoli del paese, che nel periodo natalizio diventano anche scenario di un caratteristico presepio vivente, è possibile soffermarsi per una pausa presso il Parco San Giovanni Battista, realizzato dal Comune recuperando un’area degradata e abbandonata e facendola rifiorire con una nuova destinazione al servizio di grandi e piccini. Qui è possibile sostare sulla “panchina della gentilezza”, installata dalla Pro Loco, o sulla “panchina contro la violenza sulle donne”, o anche affacciarsi dal belvedere e ammirare il panorama sull’estesa vallata circostante.
L’economia di San Mauro Marchesato è basata perlopiù sull’agricoltura e la pastorizia. E’ possibile gustare produzioni agroalimentari di eccellenza quali quella olearia e casearia (rigorosamente realizzata con pregiato latte locale), e la pasticceria tipica, che spicca per qualità delle materie prime e della lavorazione. Seppur il paese stia subendo lo spopolamento dovuto al costante fenomeno di emigrazione, non manca l’esempio di qualche brillante giovane rientrato, dopo aver studiato fuori, per riprendere in mano un’antica tradizione di famiglia rivista in chiave moderna come, ad esempio, creare opere d’arte sartoriali con ago e filo.
Sono mani sapienti ed operose quelle che si incontrano a San Mauro Marchesato, come quelle delle donne che ogni domenica, come per magia o forse per smisurato amore, impastano due soli ingredienti, acqua e farina, trasformandoli in pasta fresca fatta in casa e servendo sulla tavola, arricchiti dal sugo di pomodoro, i formati più vari dai nomi strani ma dal sapore delizioso: tagghiarini (tagliatelle), cuvatiaddri (covatelli), strangujji (trofie), maccaruni (maccheroni).
Salutando San Mauro Marchesato si ridiscende assaporando il dolce ricordo di volti sorridenti e luoghi accoglienti, provando già un pizzico di nostalgia per quello che sembra un piccolo borgo d’altri tempi racchiuso dentro una sfera di vetro da tenere tra le mani e da osservare con meraviglia, consci della missione, racchiusa nelle poetiche parole del sindaco Carmine Barbuto: “La storia di un paese non finisce mai… almeno fino a quando qualcuno la racconta”… un compito che adesso tocca a ciascuno di voi compiere, condividendo questo piccolo ma intenso scorcio della provincia di Crotone.

Immagini:
1. Santuario della Madonna del Soccorso – Esterno
2. Santuario della Madonna del Soccorso – Particolare della tela sull’altare
3. Chiesa dell’Immacolata – Torre campanaria
4. Parco San Giovanni Battista
5. Panorama
6. Produzione olivicola
7. Produzione olearia
8. Produzione casearia
9. Produzione dolciaria
10. Atelier
11. Produzione di pasta fatta in casa
12. Covatelli fatti in casa al sugo di pomodoro fresco
13. Un caratteristico vicolo di paese

San Nicola dell’Alto, lo sguardo che abbraccia l’infinito

Lo sguardo volge all’infinito, ad angolo giro, dal mar Ionio alla Sila, sovrastando numerosi paesi della provincia di Crotone, accarezzando rilievi sinuosi, lasciando correre l’immaginazione su forme immaginifiche di nuvole veloci. San Nicola dell’Alto, paese arbëreshe dalle antiche origini, rappresenta un punto di vista privilegiato sulle bellezze del territorio crotonese. Collocato sulla dorsale che collega il monte Pizzuta al monte San Michele, il paese si caratterizza per l’intervallarsi di vecchie e nuove costruzioni, stretti vicoli, con archi rampanti e volte a botte, e ampie piazze. Sorto nel secolo XV per mano di alcuni profughi albanesi, il territorio comunale fa registrare già nei secoli precedenti la presenza di monaci basiliani insediatisi sul Monte san Michele (600 m). Proprio su tale monte si colloca l’omonima chiesa dedicata al culto del potente arcangelo, molto venerato dagli abitanti e di cui si conserva una pregevole statua del XVIII secolo.
Il centro storico è dominato dalla Chiesa madre dedicata a San Nicola di Mira (sorta nel 1675), maestosa struttura a tre navate con campanile, a cui si aggiunge, poco distante, la chiesa di San Domenico che conserva ancora il sepolcro della famiglia Simeone e la relativa lapide.
Le bellezze paesaggistiche del borgo sono esaltate da uno spirito di genuina e cordiale accoglienza da parte degli abitanti e valorizzate da pregiate produzioni tipiche di tipo artigianale, caratterizzate dalle peculiari decorazioni arbëreshe, in special modo tessuti, ricami e oreficeria (lavorazioni ben visibili sui costumi tradizionali) nonché agroalimentari.
Tra le principali produzioni agroalimentari ricordiamo i gustosi salumi e i saporiti formaggi, le olive, consumate in diverse ricette, l’olio di eccellenza, il miele, i melograni e il vino, prodotto anche secondo metodi particolari che prevedono la fermentazione delle uve e del mosto in anfore sotterranee.
Nel passeggiare per le vie del paese, non è raro deliziare l’olfatto con profumi tipici di altri tempi, infatti alcune abitazioni sono caratterizzate dalla presenza del forno al legna, in cui le donne si dilettano a cuocere con sapienza, secondo ricette e usi tradizionali, numerosi prodotti genuini e saporiti quali pane, mostaccioli, biscotti, pitte con la sardella e pitte con miele, noci, e uva passa.
Le antiche memorie non sono custodite e tramandate oralmente soltanto dagli anziani depositari della storia del paese ma sono cristallizzate in maniera affascinante nelle stanze del Museo della Civiltà Contadina, che documenta fedelmente la cultura agricola, pastorale, mineraria e artigiana della comunità di San Nicola mediante l’esposizione di attrezzi di uso quotidiano e la fedele ricostruzione di ambienti tipici, come la camera da letto e la cucina di un’antica abitazione.
Sul versante opposto rispetto al monte San Michele, vi è il monte Pizzuta (650 m), su cui svetta, nel salubre contesto di una rigogliosa pineta, la statua dello scultore Antonio Cersosimo, realizzata da un unico blocco di marmo bianco di Carrara e alta oltre sette metri, monumento denominato “Invocazione alla pace”.
La pace invocata dalla cima del monte Pizzuta ben si sposa con il paesaggio sinuoso visibile da ogni lato del paese e proprio l’infinità dello sguardo che si estende oltre i paesi circostanti, superando l’orizzonte del cielo e del mare, pervade lo spirito di chi visita il paese e soggiorna a San Nicola, calmando la mente e allietando il cuore con un ricordo indelebile.

Santa Severina, la “nave di pietra” che fluttua nello spazio e nel tempo

Ascendere a Santa Severina è affascinante come varcare la sponda di una “nave di pietra” capace di navigare nello spazio e nel tempo. Nello spazio, perché dal punto più alto del Marchesato lo sguardo abbraccia una moltitudine di colori volteggiando dal turchese del mar Ionio al verde della Sila. Nel tempo, perché Santa Severina conserva i resti stratificati della vita di tutte le popolazioni che hanno abitato l’imponente rupe su cui si erge. Fin dall’età del Bronzo e del Ferro tale luogo era animato da popolazioni indigene appartenenti al ceppo degli Enotri, che hanno lasciato poi spazio ai Greci, ai Romani, agli Arabi e ai Bizantini per i quali Santa Severina era centro nevralgico.

L’importanza di Santa Severina è attestata anche dal battistero, edificio bizantino risalente al sec. VII-IX, nonché più antico monumento ecclesiastico aperto al culto in Calabria, in cui è possibile, ancora oggi, ammirare capitelli con antiche iscrizioni e resti di affreschi raffiguranti scene sacre.

Collegata al Battistero da una porta nascosta è la Cattedrale di Santa Anastasìa. Eretta nel XII sec. da Ruggero di Stefanunzia, mantiene ancora il portale originario. Da segnalare all’interno il particolare Crocifisso “gravido”, opera lignea del XV secolo, l’affresco della navata sinistra (XV sec.) e l’ambone marmoreo del XVII secolo. Infine, da ammirare anche il soffitto a cassettoni con dipinto centrale e il pregevole coro ligneo con badalone, situato sul retro dell’altare marmoreo.

La scoperta dei tesori di Santa Severina non termina sulla soglia della Cattedrale, anzi prosegue nel Palazzo Arcivescovile, dove ha sede uno dei più importanti Musei diocesani di Arte Sacra della Calabria. Accedendo dalla sala degli stemmi si rimane estasiati dalla quantità e dalla fattura delle numerose opere esposte: non solo dipinti, statue e reliquari ma anche paramenti sacri, arredi ecclesiastici,  libri liturgici e gioielli.

Attraversando piazza Campo, in cui è possibile ammirare simbologie alchemiche ed astrologiche, si passa in pochi metri, dai simboli del potere spirituale alle possenti vestigia del potere temporale: ossia il Castello.

Con i suoi oltre 10.000 mq, il castello, costruito sull’antico Kastron bizantino, domina il paese, esibendo una delle strutture meglio conservate di tutto il Mezzogiorno d’Italia. Agli ultimi proprietari, i Grutther, è dovuto il cambio di destinazione del mastio da struttura difensiva a residenza nobiliare, come attestano i pregevoli soffitti affrescati e alcuni pannelli in legno di una porta, recanti scene con Colombina e Arlecchino.

Ad oggi il Castello ospita, tra l’altro, il Museo delle armi e delle armature, il Museo degli abiti d’epoca, il Museo della lirica e, di recente realizzazione, l’enoteca Valle del Neto.

La produzione viti-vinicola, infatti, è una delle attività più caratterizzanti l’economia del comune, congiuntamente con la coltivazione di agrumi, di zafferano e con la realizzazione di marmellate e conserve.

Oltre ai monumenti più noti menzionati finora, è bene dedicare un passaggio alla Chiesa di Santa Filomena nonché all’antico quartiere della Grecìa, da cui, scendendo sulla “cavalcata di Santa Anastasia”, è possibile ammirare le grotte usate dai monaci basiliani nonché i resti di un luogo di culto nonché di una delle porte d’ingresso alla città.

Dopo aver allietato la vista e l’olfatto con la folta vegetazione della macchia mediterranea che accompagna il digradare della collina su cui Santa Severina si colloca, sarà bene deliziare anche il gusto assaporando alcune delle prelibatezze che il territorio offre, come la carne podolica che ben si sposa con la croccantezza agrodolce della cipolla di Tropea caramellata.

Grazie all’eccellente stato di conservazione dei suoi edifici storici, Santa Severina, uno dei “borghi più belli d’Italia”, diventa contesto ideale per la rievocazione storica inscenata in occasione dell’annuale Festa Medievale, che vede come protagonisti sbandieratori, musici e figuranti in costumi d’epoca.

Salutiamo Santa Severina come ci si congeda da una principessa, senza voltarle le spalle e con la mente incantata dal suo racconto, un sussurro di racconti sacri e profani che si estende come un canto sulla Valle del Neto.

Carfizzi – Il fascino di”Hora” tra la realtà e le pagine di Carmine Abate

I sorrisi delle persone come segno di una genuina accoglienza e ospitalità. Il profumo di miele e dolci che si diffonde per le antiche vie in porfido. Le parole di un libro che valorizzano le pietre di antiche mura. La trama di colorati e fantasiosi tessuti arbëresh. Carfizzi, una perla incastonata nel verde, rimane nel cuore già al primo passaggio. Il fascino di “Hora”, il “paese” per eccellenza, è sinonimo di quel sentirsi a casa, al sicuro, in serenità. Passeggiando per Carfizzi le parole dello scrittore Carmine Abate, nato nel comune crotonese, si fanno vive: divenendo sassi, volti, orizzonti. E, al contempo, il profilo di Carfizzi trascende nelle pagine dello scrittore la cui fama ha varcato i confini europei per estendersi oltre Oceano. E’ una continua corrispondenza di sensi quella tra la Carfizzi reale e la rappresentazione senza tempo di Abate. A lui è dedicato il Parco Letterario, ma il paese è, esso stesso, una passeggiata letteraria all’aperto.

Distante circa 20 chilometri dalla costa ionica e posto su una collina alta 510 m, Carfizzi trae le sue origini dall’arrivo di un gruppo di albanesi che, nel 1467, per sfuggire ai turchi, si insediò in zona dando origine a tre villaggi Carfidi, Trivio e Santa Venera, dai quali intorno al 1530 sorse Carfizzi. Inizialmente frazione di San Nicola dell’Alto, nel 1905 Carfizzi divenne comune autonomo.

Il comune, attualmente il meno popoloso della provincia di Crotone con circa 600 abitanti, conserva la tradizione artigianale della tessitura al telaio e dell’arte orafa in stile greco-albanese e vanta una produzione agricola d’eccellenza, in particolare vino, olio e miele che si concretizza nel rito delle conserve. Proprio il miele è l’ingrediente base, insieme alla farina, dei tipici dolci i “mastacogi” (mostaccioli), donati in occasione di matrimoni, nascite e altre ricorrenze religiose. Altro piatto tipico è la “furizishka”, minestra a base di zucchine e fiori di zucca, da consumare con pane raffermo e abbrustolito.

Da vedere a Carfizzi, oltre al Kurrituri e al largo Skanderbeg, la Chiesa di Santa Veneranda, ricostruita nella metà del Novecento, e la Chiesa di Sant’Antonio, di fine Seicento, al cui interno è custodita una statua lignea settecentesca del Santo.

Infine, da ricordare il Parco Montagnella, su cui svetta l’opera “Monumento al I maggio” dell’artista Antonio Cersosimo, in cui annualmente si celebra la Festa dei lavoratori. Poco distante, la cascata del “Giglietto”, caratterizzata da una incontaminata flora mediterranea.

Carfizzi custodisce quanto di buono e di bello possa esistere e alla mente ritorna la frase che Carmine Abate fa pronunciare a Paolo Orsi ne “La collina del vento”: “questi luoghi sono ricchi fuori e dentro. Solo chi è capace di amarli sa capirli ed apprezzarne la bellezza e i tesori nascosti”.