Hai percorso il Cammino di Santiago e hai iniziato ad identificarti con Frodo Baggins? No, non stai perdendo la tramontana. Infatti, le analogie tra il protagonista della più importante saga di Tolkien e la figura del pellegrino sono numerose e, in parte, anche confermate dagli studiosi di storia e letteratura.
Vediamone (almeno) dieci!
1) Il Cammino come metafora della vita
Il pellegrino è colui che lascia tutto per mettersi in Cammino, subordinando tutti gli altri aspetti della propria vita al viaggio. Così anche Frodo, insieme a Sam, Merry e Peregrino Tuc (detto Pipino), abbandona le comodità della Contea per affrontare l’avventuroso viaggio tra Hobbiville ed il Monte Fato al sol fine di distruggere l’anello del potere. Il viaggio del pellegrino, così come quello della Compagnia dell’anello, attraversa monti e valli, fiumi e boschi, luoghi deserti e borghi abitati… ma, soprattutto, è un percorso interiore. Una meravigliosa avventura di crescita esistenziale che arricchisce di significato giornate monotone ed indistinguibili. In Cammino non esistono più le beghe della vita quotidiana, non vi sono più comodità né certezze. Il coraggio del cambiamento porta Frodo e il pellegrino ad abbandonare la solidità dei luoghi comuni, per catapultarli in uno spazio e un tempo che diventano categorie inedite. Il viaggio per il pellegrino, così come per Frodo, è la più bella metafora della vita.
2) L’abbigliamento: elogio dell’uguaglianza e dell’essenzialità
Le analogie tra Frodo ed il pellegrino non sono solo concettuali ma anche tangibili. Frodo, così come i pellegrini, è vestito con un mantello dotato di cappuccio così ampio da coprire il suo breve corpo da Hobbit. In mano ha un bastone per il cammino e, alla cintola, una leggera bisaccia. Molto simile è l’abbigliamento del pellegrino che storicamente si recava a Santiago de Compostela: un’ampia cotta di ruvida tela, un bastone (detto “bordone”) e una bisaccia per trasportare l’essenziale, evitando il peso superfluo. Non è raro vedere il moderno pellegrino indossare la mantellina antipioggia; seguirne i passi mentre si sostiene con il proprio bastone; ammirarne la fatica mentre avanza sotto il peso del suo zaino (moderna bisaccia!). Eppure l’essenzialità che accomuna i pellegrini, denotata dal doversi far carico del proprio fardello, è ciò che li rende uguali anche esteriormente, abolendo qualsiasi gerarchia, o ruolo sociale. Così come nel romanzo di Tolkien non vi è una linea di comando: ognuno assume responsabilmente il proprio ruolo e contribuisce attivamente all’esito della strabiliante avventura.
3) Il fardello: il cammino come viaggio liberatorio
A proposito di peso… il viaggio che Frodo affronta è finalizzato a “liberarsi” di un grave fardello, per l’esattezza dell’Anello che dovrà essere distrutto nel cratere del Monte Fato. Il viaggio, dunque, come alleggerimento e liberazione. Ciò è molto simile alla “spoliazione” interiore del pellegrino. Infatti, la maggior parte dei pellegrini cammina con un fardello, non solo esteriore (lo zaino) ma anche interiore: spesso è un lutto, un abbandono, una malattia o solo la volontà di lasciarsi alle spalle un passato greve o una vita non felice. La partenza è sempre preceduta da una scelta fondata su una profonda presa di consapevolezza: portare un fardello per liberarsene anche se ignota è direzione da prendere: “Porterò io l’Anello – sono le parole del protagonista tolkeniano – solo che non conosco la strada”. Una decisione consapevole di grande responsabilità, come evidenzia la risposta di Elrond durante il Consiglio: “Ma è un fardello assai pesante. Così pesante che nessuno potrebbe caricarne le spalle di qualcun altro. Io non lo carico sulle tue spalle. Se, tuttavia, lo prendi di tua propria scelta, dirò che la tua scelta è giusta”. Simbolicamente durante il percorso il pellegrino si libera di questo peso: alla Croce di Ferro, dove ogni pellegrino lascia una pietra, e a Finisterre, dopo Santiago, dove ciascun pellegrino, al termine del cammino, brucia un indumento. Così come Frodo distrugge l’anello del potere tra le fiamme del monte Fato.
4) Luoghi fantastici e misteriosi: tra hobbit e templari
Il percorso più noto per giungere a Santiago è la cosiddetta Via Francese, ossia quella che parte da Saint Jean Pied de Port, alle pendici dei Pirenei. Da lì, circa 830 chilometri separano il pellegrino dalla sua meta: Santiago. In 830 km i luoghi da attraversare sono molteplici. Numerosi scorci appaiono molto simili ai luoghi descritti da Tolkien. Tralasciando castelli e cattedrali, antiche tombe di sovrani e ancestrali megaliti, boschi, torrenti, montagne e luoghi selvaggi, basti pensare a qualcosa di molto concreto come le famose “bodegas”, strutture ipogee spesso usate come cantine, per fare un salto nella Contea! Le case di Hobbiville non hanno nulla di diverso da queste collinette edificate e ricoperte di erba verde! Altri luoghi sul Cammino di Santiago, invece, sono segnati dal passaggio e dalla permanenza dei cavalieri templari e non è difficile associarli allo spirito cavalleresco presente nella principale opera di Tolkien. Non è raro incrociare castelli e antichi hospitales fortificati e può capitare anche di ammirare lucide armature e pesanti spade: basta dare un nome a quelle lame per ritrovarsi a far parte della Compagnia dell’Anello!
5) Una vita non banale: celti, maghi e animali parlanti
Il Cammino di Santiago è profondamente intriso di mistero, magia, leggende. Qualche esempio? I cruceiros, antichi crocifissi posti all’incrocio tra più strade. Secondo alcuni, infatti, avrebbero origini precristiane e segnerebbero luoghi caratterizzati da particolari energie (senza considerare tanti altri misteri legati alla religione cristiana – come ad esempio il Mandylion). Bastano, allora, le cornamuse a catapultarci nella “Galizia Celta”, ossia la regione caratterizzata da origini celtiche, dove non è raro ammirare trisqueles e rune o sentire parlare di “Megas”, le antiche streghe. Le origini celtiche sono fondanti anche con riferimento alla penna di Tolkien. Infine, spesso si odono storie in cui gli animali sono protagonisti dai poteri magici: galli che risuscitano (Santo Domingo de La Calzada) o “oche” che tracciano con la propria “pata” (zampa) il percorso da seguire (non a caso il famoso Giuoco dell’Oca altro non sarebbe che il Cammino di Santiago). Così anche ne “Il Signore degli anelli” ogni pagina è intrisa di magia: tanto che il “mistero” diventa un fattore comune della quotidianità. Anelli che permettono di scomparire, aquile e destrieri parlanti, potenti maghi e simboli da decifrare rappresentano pane quotidiano per Frodo e gli altri protagonisti. Il percorso lungo la Via, per costoro e per i pellegrini, si allontana dall’essere “passeggiata” per somigliare maggiormente ad un’avventura.
6) Il trascendente: pellegrino, chi ti chiama?
Una nota poesia su un muro di Najera, lungo il Cammino di Santiago, interroga ripetutamente il pellegrino: “Pellegrino chi ti chiama? Quale forza oscura ti attira?”, enumerando molteplici aspetti del Cammino di Santiago e concludendo, poi, con la diretta voce del pellegrino: “La forza che mi spinge, la forza che mi attira, non so spiegarla neanche io, solo chi è lassù lo sa”. Anche nella determinazione con cui Frodo e i suoi compagni abbandonano i dolci ritmi della Contea per mettersi in viaggio vi è qualcosa di ineluttabile, trascendente. Frodo e il pellegrino decidono di abbandonare il superfluo per scegliere consapevolmente l’essenziale, seguendo tale spinta interiore di natura spirituale. Tolkien la descrive in un dialogo tra Frodo e Samvise Gamgee. “Hai ancora voglia di lasciare la Contea, ora che il tuo desiderio di vedere gli Elfi è stato esaudito?” è la domanda di Frodo. Segue la riposta del fedele amico, molto prossima alla poesia sul muro di Najera: “Sì, signore. Non so come spiegarlo, ma da ieri mi sento diverso. Mi sembra di vedere avanti a me, lontano. So che percorreremo una strada lunghissima verso l’oscurità; ma so che non posso tornare indietro. Non è per vedere Elfi, né draghi, né montagne che ora voglio… Non so nemmeno io che cosa voglio esattamente: ma ho qualcosa da fare prima della fine, qualcosa che si trova avanti a me e non nella Contea. Devo arrivare fino in fondo, signore, non so se mi capite”.
7) Le battaglie, la prova fisica e la ricerca interiore: da Sauron a Santiago Matamoros
Il Signore degli Anelli è abitualmente classificato nel genere “high fantasy” ossia è caratterizzato, in aggiunta alle comuni ambientazioni fantasy, anche dalla profonda lotta tra Bene e Male. Tale scontro si palesa nella narrazione di battaglie epiche ma anche nella lotta interiore che connatura tutti i personaggi, in special modo quando si approssimano all’Anello del potere. Anche il Cammino di Santiago è spesso caratterizzato da una serie di prove, da quelle fisiche a quelle interiori. Sfidare le intemperie, valicare monti e macinare centinaia di chilometri, procedere sulla strada nonostante le vesciche, cercare rifugio, affrontare malintenzionati: lo fanno i pellegrini, così come i personaggi di Tolkien. Mettersi di cammino nonostante paure e timori, camminare impavidi verso l’ignoto e verso il domani, perdersi nella struggente nostalgia di casa, emozionarsi per un paesaggio o per la bellezza di un incontro: anche questo è tipico dei pellegrini così come dei personaggi della Compagnia dell’Anello. A ciò si aggiungano anche storie e leggende epiche che caratterizzano il Cammino verso Compostela: da Santiago Matamoros, santo e guerriero in lotta contro gli infedeli; alle sfide cavalleresche (come ad esempio la leggenda del Paso Honroso); fino alle “guerre sante” dei templari ed alle battaglie da loro combattute dietro il vessillo della protezione dei luoghi santi e dei pellegrini. Nel Cammino così come nell’opera di Tolkien, vi è, dunque, la lotta perenne tra Bene e Male, che imperversa sia a livello di singolo essere umano che di collettività. Tuttavia, dopo sacrifici, lacrime e sangue il finale, in entrambi casi, è luminoso.
8) Dalle memorie di Bilbo all’inesauribile narrazione dei pellegrini: il racconto e l’eroismo degli umili
Nell’immaginario di Tolkien Bilbo Baggins scrive il libro delle proprie memorie. Infatti, non vi sarebbero le avventure di Frodo senza quelle narrate ne “Lo hobbit”. La storia è, successivamente, arricchita e conclusa da Frodo, prima di partire dai Porti Grigi, e lasciata nelle mani del fedele Samvise. Ma Frodo e Bilbo non sono gli unici a raccontare: scrivono, infatti, anche i Tuc e i Brandibuck. E’ la voce dei semplici hobbit che spesso si trasforma nell’eroismo degli umili. Già, perché a compiere la terribile missione fino al monte Fato è un piccolo hobbit. Così come a percorrere il Cammino di Santiago è l’uomo comune, fino al giorno prima perso nell’anonimato, divenuto eroe della sua stessa storia. Ecco perché, come Frodo e Bilbo, anche il pellegrino racconta. Spesso è un fiume di parole, di pagine, di immagini che, a sua detta, non riescono comunque a trasmettere il senso del cammino. Ma l’epilogo, come nel Signore degli anelli, è il trionfo finale dell’uomo comune sulle proprie paure e angosce, sul peso del passato, sulle ansie del futuro, in un’ambientazione selvaggia e itinerante. “Almeno per qualche tempo – disse Elrond – È necessario che la strada sia percorsa, ma sarà molto difficile. Né la forza né la saggezza ci condurrebbero lontano; questo è un cammino che i deboli possono intraprendere con la medesima speranza dei forti. Eppure tale è il corso degli eventi che muovono le ruote del mondo, che sono spesso le piccole mani ad agire per necessità, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove”. Qualcosa, appunto, da raccontare.
9) Non esser soli anche quando si è soli: la Compagnia dell’Anello e le cene del pellegrino
Raramente i personaggi di Tolkien si trovano a dover combattere in solitudine. Spesso Frodo è accompagnato, sostenuto, aiutato. Non a caso l’opera inizia con le vicende de “La Compagnia dell’Anello”. Tra le pagine di Tolkien non mancano le descrizione dei canti e delle feste, dei sapori gustati e dei momenti goliardici. Il Cammino di Santiago è anche questo. Talvolta si cammina soli, ma soli non si è mai. Si condividono sentieri con altri pellegrini, ma anche cerotti e spuntini. Non mancano, infine, chiacchiere e risate attorno al tavolo. Sono le cene del pellegrino: quando italiani, spagnoli, brasiliani, coreani, donne, uomini, giovani e anziani, alzano insieme i bicchieri brindando al percorso fatto e a quello che verrà. E’ lo spazio in cui erompe l’autenticità, dove cadono le maschere indossate abitualmente nella quotidianità, dove i ruoli non contano: esiste solo l’essere umano col suo unico ed irripetibile valore.
10) Finisterre come il monte Fato: la fine è il mio inizio
Il viaggio di Frodo sembrerebbe concludersi sul Monte Fato, nel momento dell’epica distruzione dell’Anello. Invece, Frodo riparte: lo vediamo salutare commosso i suoi fedeli amici e salpare dai Porti Grigi. Così anche il pellegrino. Giunto a Santiago si sposta, quindi, verso Finisterre: il confine del mondo, il chilometro zero, il luogo in cui il sole del tramonto si tuffa nell’Oceano. Lì il pellegrino brucia i suoi vestiti e muore alla sua vecchia vita. Come l’Anello, ardendo nel Monte Fato pone fine alle pene di Frodo così, il pellegrino, in quel fuoco simbolico, annienta il disagio del proprio passato per riemergere dalle proprie ceneri come una Fenice. Come Frodo e come il Sole, il pellegrino ripartirà, l’indomani, per un nuovo Cammino. Nel frattempo è divenuto un uomo nuovo.
E se anche tu, come me, sei arrivato in fondo a questa pagina
Se anche tu, come me, hai immaginato di uscire dall’uscio di casa per muovere i tuoi passi nel mondo,
Se anche, tu come me, hai trovato la tua autenticità su una strada alberata o tra le brume della Galizia,
Se anche tu come me, credi che sia già oggi il giorno in cui partire per un nuovo viaggio,
allora, anche tu, come me, sei un po’ come Frodo, un piccolo hobbit con l’anima di un elfo, pronto a partire per il prossimo Cammino!
“E dove troverò il coraggio necessario?”, chiese Frodo. “E’ ciò di cui ho più bisogno”.
“Lo troverai nei luoghi più impensati! Spera il meglio(…) che le stelle possano brillare sulla fine del tuo viaggio”
Claudia